Sicurezza sul lavoro: responsabilità in caso di infortunio del lavoratore

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Libero Rossi
view post Posted on 21/2/2013, 12:12     +1   -1




Sicurezza sul lavoro: responsabilità in caso di infortunio del lavoratore (Cass. pen. n. 48228/2012)


Rinaldi Manuela
la sentenza n. 48228/2012 - 13/12/2013 - Corte di Cassazione - Penale, IV - Penale
C'è la responsabilità del legale rappresentante di una impresa edile (appaltatrice di lavori) per l’infortunio occorso ad un prestatore di lavoro, il quale, allo scopo di riparare una breccia sul muro di un edificio (che si trovava a circa 7 mt. dal suolo) era montato sopra una scala – precaria – in alluminio estensibile, precipitando, così, al suolo, a causa della instabilità del terreno.



1. Premessa

Nella decisione in commento del 13 dicembre 2012, n. 48228 i giudici della Corte di Cassazione, nella quarta sezione penale, hanno precisato che il comportamento del prestatore di lavoro avventato ed esorbitante rispetto quelle che sono le normali attribuzioni, porta alla interruzione del cd. nesso di causalità, ponendosi come serie causale autonoma rispetto alla precedente condotta del datore di lavoro, il quale non abbia adempiuto ai proprio obblighi (1).
Al contrario il comportamento, pur sempre avventato, del prestatore di lavoro posto in essere mentre lo stesso è dedito al lavoro che gli sia stato affidato e che, quindi, non esorbita da ciò che gli compete, può essere invocato come imprevedibile oppure quale abnorme, solamente nel caso in cui il datore di lavoro abbia adempiuto a tutti gli obblighi posti a proprio carico in materia antinfortunistica.


2. La fattispecie

L’imputato, nel proprio ricorso in cassazione, ha riproposto la critica svolta avverso la sentenza di primo grado, soddisfatta dalla corte territoriale.
Per quanto concerne il comportamento abnorme del prestatore di lavoro, i giudici di legittimità hanno precisato che il nesso di causalità tra omissione colposa, evento lesivo e conseguenti lesioni, non viene spezzato da nessun elemento esterno oppure comportamento imprevedibile del lavoratore stesso o di terzi.
Nel caso concreto l’infortunio è occorso durante una fase ordinaria di lavoro.
.. “Anche se può assumersi come possibile che allo stesso possa aver concorso una manovra erronea del lavoratore deve escludersi, secondo la logica comune, che nel caso in esame una tale manovra possa considerarsi avulsa dalle mansioni lavorative svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario dell'assunto trattasi, invece, di una lesione fisica occorsa nell'esercizio e a causa dello svolgimento dell'attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile”.
Nella decisione in commento si legge, ancora, testualmente che ……… “Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. 4, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. 4, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. 4, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. 4, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. 4, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. 4, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. 4, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. 4, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poichè l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti”.


3. Conclusioni

Nella decisione in commento la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.


4. Giurisprudenza

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le norme dirette ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza
[...] ed imprudenza dello stesso;
il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente; l'esonero totale dell'imprenditore da ogni responsabilità si verifica quando il comportamento posto in essere dal dipendente infortunatosi presenta i caratteri della abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" e alla direttive ricevute, così da porsi come causa
esclusiva dell'evento; l'onere del datore di lavoro di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno è assolto con la dimostrazione che il lavoratore preposto ad una determinata operazione sia un soggetto di indubbia professionalità e con specifiche conoscenze dei sistemi di sicurezza, sì da non rendersi necessaria una sorveglianza assidua da parte del datore di lavoro o di altri dipendenti. Cass. civ., sez. lav., 13 giugno 2012, n. 9661

Il datore di lavoro che in violazione delle norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ometta di apprestare le dovute cautele per garantire la sicurezza dei suoi dipendenti, risponde, a titolo di colpa, delle lesioni personali dagli stessi riportate nello svolgimento dell'attività cui siano addetti. Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro violi le norme poste a garanzia della sicurezza sul lavoro, neppure l'eventuale colpa del lavoratore è idonea ad escluderne la responsabilità trattandosi di norme dirette a tutelare il lavoratore contro gli incidenti ascrivibili alla sua negligenza, imperizia o imprudenza. Trib. Campobasso, 21 marzo 2011, n. 44

La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. – in base al quale il potere imprenditoriale, volto alla massimizzazione della produzione, incontra un’imprescindibile limite nella necessità di non arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e nel far sì che nell’attività richiesta ai dipendenti venga predisposta una serie di misure, oltre quelle legali, che appaiono utili ad impedire l’insorgere o l’ulteriore deteriorarsi di situazioni patologiche idonee a causare effetti dannosi alla salute del lavoratore – ha natura contrattuale”. In sede processual-probatoria, l’obbligo di sicurezza inteso come obbligo a carattere contrattuale, avvantaggia il lavoratore rispetto ad una lettura in chiave extracontrattuale della responsabilità ex art.2087cc.: infatti, “una volta che il lavoratore ha provato, oltre il danno ed il nesso causale, l’inadempimento del datore di lavoro consistito nella mancata attuazione di tutte le misure necessarie, compreso l’adeguamento dell’organico, volte ad assicurare livelli compensativi di produttività senza tuttavia compromettere l’integrità psicofisica dei lavoratori soggetti al suo potere organizzativo di dimensionamento delle strutture aziendali, incombe sul datore l’onere di provare che l’evento lesivo è dipeso da un fatto a lui non imputabile e cioè, da un fatto che si presenti abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive impartite”. Cass. civ., 5 febbraio 2000

Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore o che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o che rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto non abnorme, ma al più imprudente, l’uso di un carrello inidoneo da parte del lavoratore nell’esercizio delle mansioni affidategli, non essendo imprevedibile che un lavoratore, incaricato di sistemare dei rotoli di tessuto di particolare altezza, e quindi particolarmente ingombrante se posati orizzontalmente, possa decidere di metterli in posizione verticale). Cass. pen., sez. IV, 5 febbraio 1997, n. 952



Manuela Rinaldi
Avvocato foro Avezzano Aq - Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.



_________
(1) Sul punto cfr. Cass. civ. n. 19494/2009.


Impresa edile e infortunio di un lavoratore (Cass. pen. n. 48228/2012)
Corte di Cassazione Penale n. 48228/2012, sez. IV del 13/12/2013





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1. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 3/6/2010, dichiarato (Omissis), legale rappresentante d'impresa edile appaltatrice di lavori da effettuarsi sopra un edificio sito in (Omissis), colpevole del reato di lesioni personali di cui all'articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3, aggravato dalla violazione di norme volte a prevenire infortuni sul lavoro, conseguite alla caduta da una scala di alluminio del tipo estensibile da un'altezza di circa sette metri dal suolo, ai danni del lavoratore dipendente (Omissis),
applicate le attenuanti generiche con criterio di equivalenza, condannò il medesimo alle pene reputate di giustizia, nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, con assegnazione di provvisionale nella misura indicata in dispositivo, al pagamento della quale nel termine di mesi sei subordinò la sospensione condizionale concessa.

1.1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 12/10/2011, giudicando sulla impugnazione proposta dal detto imputato, confermò la statuizione di primo grado.

2. Per un'adeguata intelligenza delle questioni poste al vaglio di questa Corte appare necessario riprendere, in sintesi, la vicenda.

La P.O., al fine di riparare una breccia del muro esterno dell'edificio, posto a circa sette metri dal suolo, era montato sopra una scala precaria in alluminio del tipo estensibile, la cui estremità superiore era stata appoggiata alla parete, precipitando al suolo, a causa dell'instabilità del terreno ghiaioso sul quale la scala poggiava i piedi inferiori e del tipo d'intervento praticato, il quale richiedendo l'uso di entrambe le mani, aveva posto i lavoratore in una condizione di forte instabilità.

3. L'imputato proponeva ricorso per cassazione.

4. Con i primi due motivi viene denunziata contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè travisamento della prova. Assume il ricorrente che la Corte territoriale aveva basato il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese dal lavoratore infortunato, che, per forza di cose, dovevano reputarsi interessate, senza effettuare alcun serio vaglio di attendibilità e, in ispecie, in assenza di riscontri.

Nulla potevano dire sull'accadimento i testi (Omissis) e (Omissis), i quali erano intervenuti dopo che l'incidente era oramai accaduto.

Al dibattimento l' (Omissis) raccontò di essere salito sulla scala dietro ordine del datore di lavoro e di essere stato aiutato nell'espletamento dell'incarico da un operaio di nazionalità albanese; mentre davanti all'ispettore dell'INAIL aveva affermato che ad aiutarlo era stato (Omissis), figlio dell'imputato, e che era precipitato al suolo allorquando costui aveva momentaneamente lasciato la scala, che teneva ferma per assicurarne la stabilità, per andare a prendere della malta.

Per il ricorrente trattasi di una contraddizione di importante rilievo, della quale il giudice di merito avrebbe dovuto tenere conto.

Nè si era tenuto conto della deposizione di (Omissis), il quale aveva dichiarato che la P.O. era salita ad effettuare la riparazione di sua iniziativa e contro il volere del padre, il quale si era riservato di effettuare lui quel lavoro, il quale, peraltro, non riguardava il cantiere, tutto racchiuso all'interno dell'edificio.

4.1. Con il successivo motivo il ricorrente lamenta vizio motivazionale per non essere stato qualificato come abnorme, e, quindi, imprevedibile, il comportamento della P.O., che si era posta nella situazione di rischio del tutto al di fuori dei compiti affidatele e, addirittura, contro la volontà espressa del datore di lavoro.

Inoltre, per affermare la penale responsabilità dell'imputato, la Corte d'appello di Milano aveva travisato le risultanze probatorie.

Diritto


5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto volto ad ottenere riesame nel merito della decisione, ampiamente e coerentemente motivata.

Ovviamente, in questa sede non è consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità.

Sull'argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza n. 15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il nuovo testo dell'articolo 606 c.p.p., comma 1,
lettera e), come modificato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il "novum" normativo, invece, rappresenta il riconoscimento della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione.

5.1. Lungi dall'aver fondato acriticamente la propria decisione sulle dichiarazioni del lavoratore infortunato, il quale, peraltro, ha fornito elementi di piena affidabilità, in quanto corroborati dalle risultanze oggettive di causa (accadimento fattuale e lesioni riportate), ha evidenziato che l'infortunato, a prescindere dalla presenza di altro operaio, oltre al figlio del datore di lavoro, la cui esistenza era stata taciuta all'ispettore del lavoro in quanto "in nero", e affermata in sede di esame dibattimentale, era caduto da una scala dalla quale, ad altezza non consentita e privo di sistemi di protezione di sorta, era intento alla riparazione. A parte ogni altra considerazione l'asserto difensivo secondo il quale l'imputato aveva riservato a sè il compito di rabberciare il muro esterno e che l'infortunato, violando l'ordine impartitogli, si era indotto all'operazione al fine di utilizzare della malta esuberata ai lavori interni dei quali si sarebbe dovuto esclusivamente occupare, come puntualmente evidenziato dalla Corte territoriale, contrasta inesorabilmente con l'orario dell'infortunio, verificatosi nella prima mattinata e non a fine giornata lavorativa.

5.2. Anche a riguardo della pretesa abnormità della condotta del lavoratore il ricorrente non sembra avere preso nota delle osservazioni del giudice di secondo grado e, così, si è limitato a riproporre la critica già svolta contro la sentenza di primo grado, efficacemente soddisfatta dalla Corte territoriale, la quale ha correttamente esposto che "il nesso di causalità tra omissione colposa, evento lesivo e conseguenti lesioni non è spezzato da alcun elemento esterno o comportamento imprevedibile del lavoratore o di terzi; l'infortunio, nella fattispecie, è occorso durante una fase ordinaria di lavoro (...)". Anche se può assumersi come possibile che allo stesso possa aver concorso una manovra erronea del lavoratore deve escludersi, secondo la logica comune, che nel caso in esame una tale manovra possa considerarsi avulsa dalle mansioni lavorative svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario dell'assunto trattasi, invece, di una lesione fisica occorsa nell'esercizio e a causa dello svolgimento dell'attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile.

Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. 4, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. 4, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. 4, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. 4, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. 4, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. 4, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. 4, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. 4, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poichè l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.

6. Consegue all'esposto declaratoria d'inammissibilità del ricorso a causa della sua manifesta infondatezza.

Di conseguenza il (Omissis) deve essere condannato alle spese processuali e al pagamento della sanzione pecuniaria stimata di giustizia di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
 
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