Ilva-gate, la sinistra sul banco degli imputati

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Libero Rossi
view post Posted on 23/6/2014, 17:05     +1   -1




Ilva-gate, la sinistra sul banco degli imputati



di Antonia Battaglia

Si é tenuta giovedì 19 giugno davanti al Gup ed è stata quindi aggiornata al 16 settembre prossimo, l¹udienza preliminare del processo Ilva che vede 53 imputati, di cui 50 persone fisiche e tre società. Si attende la decisione della Corte di Cassazione sulla rimessione del processo ad altra sede, in seguito all¹istanza presentata dalla difesa del Gruppo Riva.

Le tre società, appartenenti agli stessi Riva, per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio sono Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici. Il Gup Gilli dovrà deliberare sulla richiesta di rinvio a giudizio anche per l’ex Presidente dell’Ilva (ed ex prefetto di Milano) Bruno Ferrante; per altri due ex direttori dello stabilimento, Luigi Capogrosso ed Adolfo Buffo; per l'ex addetto alle relazioni istituzionali dell'Ilva, Girolamo Archiná; per il direttore dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia (Arpa), Giorgio Assennato; per l’assessore all'Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro (IdV); per l'ex consigliere regionale della Puglia, oggi deputato di Sel, Nicola Fratoianni; per l'attuale consigliere regionale Donato Pentassuglia (Pd) e per l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva (Pd).

Insomma, l’affare Ilva-Taranto è “cosa” della sinistra italiana. Avviluppata, incastrata nell’Ilva-gate, compromessa e non ancora pronta a cambiare strategia, secondo quanto si evince dagli ultimi eventi sulla questione stessa. Secondo quanto riportato dalle intercettazioni e nei decreti del Gip, si desume che le forze politiche implicate nel processo dovevano per forza di cose essere consapevoli di ciò che si stava giocando dentro l’Ilva e hanno tuttavia continuato a rischiare molto pur di proteggere la produzione dello stabilimento e quella che si ipotizza essere stata l’associazione a delinquere messa in piedi dagli esponenti del Gruppo Riva e da una parte della dirigenza.

Il numero di cariche politiche coinvolte, non colpevoli fino a prova contraria, ovvero fino al terzo grado di giudizio, è sufficiente a far capire quali fossero i profitti da capogiro che l’industria doveva continuare ad assicurare. La produzione di acciaio a tutti i costi è stata voluta fortemente da quegli stessi partiti che hanno governato e contribuito all’abbandono della città. Taranto ha portato sulle proprie spalle non solo il peso della strategia nazionale dell’acciaio ma anche quello del fallimento delle istituzioni, il cui compito sarebbe dovuto essere quello di proteggere i cittadini.

“Disegno criminoso” è la descrizione che il Gip Todisco usa per indicare ciò che avvenne (e forse avviene ancora) dentro l’Ilva e dentro i palazzi tarantini, baresi e romani. E’ accaduto tutto al fine di proteggere chi ha lavorato contro la città e contro la sua gente. L’Ilva ha goduto di grande favore, oltre che presso la politica anche presso le banche. Come sono arrivati i profitti dei Riva nei paradisi fiscali che hanno ospitato, e ospitano forse tuttora, quelle somme importanti sottratte all’azienda e finite nelle casse della famiglia, che avrebbero potuto essere usate per le bonifiche?

Se non ci fossero stati Sel ed il Partito Democratico a proteggere l’Ilva, forse qualcosa sarebbe stato diverso. O forse no. La politica timida ed esitante di Lamberto Dini al momento dell’acquisto dell’Ilva da parte dei Riva, di Romano Prodi, di Massimo D’Alema, del governo Monti, dei governi Berlusconi, del governo Letta, ha dimostrato che davanti all’Ilva, a cui tutto è stato permesso, si sono piegati tutti pur di garantire lo status quo della produzione con il conseguente avvelenamento di suolo, falda, aria, mare e soprattutto persone.

Secondo quanto riportano fonti giornalistiche, la famiglia Riva ha donato nel 2004 e nel 2005 oltre 500.000 euro a Forza Italia e partecipato alla campagna elettorale di Raffaele Fitto. L’ex Presidente della Regione Puglia non ha mai istituito il registro tumori chiesto dai tarantini.

Quei versamenti di 98.000 euro effettuati da Emilio Riva sui conti di Pierluigi Bersani, altri versamenti sui conti del deputato Ludovico Vico e certamente di altri, sono un contributo forse normale da parte di un’industriale alla politica nazionale. Ma come è possibile che il segretario del Partito Democratico non si sia opposto a quel regalo?

Le accuse dei magistrati di Taranto sono, per i Riva ed alcuni dirigenti, di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale: i proprietari dell'Ilva ed i cosiddetti "fiduciari", ovvero gli uomini dei Riva che costituivano il governo ombra dell'azienda, secondo la Procura “in concorso tra loro nella gestione dell'Ilva di Taranto operavano e non impedivano con continuità e piena consapevolezza una massiva attività di sversamento nell'aria-ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle aree interne allo stabilimento, nonché rurali ed urbane circostanti lo stesso, in particolare Ipa, benzoapirene, diossine, metalli ed altre polveri nocive, determinando gravissimo pericolo per la salute pubblica e cagionando eventi di malattia e morte nella popolazione residente nei quartieri vicino al siderurgico e ciò anche in epoca successiva al provvedimento di sequestro preventivo di tutta l'area a caldo", sequestro avvenuto il 26 luglio del 2012.

Il 15 maggio 2013, veniva arrestato il Presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, mentre qualche giorno dopo il Tribunale di Milano poneva sotto sequestro 1,2 miliardi di euro, in merito ad un’indagine su una maxi-evasione fiscale per indebita sottrazione di risorse finanziarie dalle casse dell’azienda.

Il 24 maggio 2013 il Gip di Taranto firmava il decreto di sequestro per equivalente di beni per 8,1 miliardi di euro, la stima formulata dai custodi giudiziari del costo totale degli interventi necessari alla messa a norma degli impianti dell’area a caldo.

Poco dopo, però, diverse leggi varate dal Governo riportavano la produzione dell’Ilva a pieno regime e trovavano il modo di far tornare nella mani del Commissario Ilva (e quindi della proprietà) quelle somme poste sotto sequestro da Taranto e Milano.

La politica sul banco d’accusa. La politica che fa e disfa leggi e decreti, che ferma la magistratura ed entra nel merito di decisioni prese con tecnici nominati dal Tribunale di Taranto per garantire il sequestro. La politica che vuole proteggere il padrone, contro i diritti di cittadini ed operai. L’accusa per il Presidente della Regione Puglia Vendola è di concussione con i vertici dell’azienda: la Procura di Taranto, infatti, gli imputa di aver esercitato pressioni sui vertici dell'Arpa Puglia e in particolare sul suo direttore Giorgio Assennato, affinché ammorbidisse l'azione di controllo verso l'Ilva. Il Sindaco di Taranto, Stefàno, risponderà invece di omissione di atti d’ufficio e di non aver dato corso, in qualità di prima autorità sanitaria della città, alle denunce in merito all'inquinamento causato dall'Ilva.

L'inchiesta Ambiente Svenduto è nata nel 2009, a seguito alle numerose denunce delle associazioni ambientaliste di Taranto, che dal 2007 hanno lavorato affinché il muro di omertà che cingeva l’Ilva potesse essere scalfito.

Nel 2007, Peacelink, sulla base del registro europeo Eper, denunciava che oltre il 90% della diossina nazionale veniva prodotto a Taranto. Nel febbraio del 2008, la stessa associazione faceva realizzare delle analisi sul pecorino prodotto da aziende locali i cui capi di bestiame (poi abbattuti) pascolavano vicino allo stabilimento: la diossina ed altri inquinanti erano presenti in maniera troppo importante in quel formaggio. Ma come mai servirono delle analisi commissionate da un’associazione per far venire a galla ciò che le istituzioni e la politica avrebbero dovuto sapere? Perché erano stati taciuti i risultati dei rapporti sull’inquinamento della città?

E’ solo dopo quella prima analisi, che l’Asl di Taranto lancia una serie di controlli e che viene realizzato l’abbattimento di quei capi di bestiame allevati dove abitano ancora oggi esseri umani e dove le condizioni di produzione dell’Ilva non sono ancora mutate.

Passano gli anni, mentre le associazioni ambientaliste continuano a chiedere che vengano realizzati dei monitoraggi più puntuali e precisi. La risposta da parte del Governo sarà sempre la stessa: non si può fermare la produzione italiana di acciaio per quella che viene definita la protesta di qualche allarmista.

Taranto diventa l’unica città in Italia dove la vita media della popolazione non aumenta ma diminuisce. Nel latte materno è entrata la diossina e nel sangue dei bambini si trova il piombo e a condurre le ricerche che permetteranno di arrivare all’udienza preliminare di giovedì 19, sono i cittadini, con le associazioni, mentre il Governo lavora sulla sponda opposta.

Negli anni, gli interventi istituzionali per salvare l’Ilva e metterla in regola con provvedimenti ope legis contestati dalla popolazione, sono stati numerosi. Nel 2010 il governo ha tolto per decreto il limite al benzoapirene. Nel 2011 è stata concessa un’autorizzazione integrata ambientale, Aia, talmente inefficace da esser poi demolita dalla perizia della magistratura del 2012. Quell’Aia hanno dovuto riscriverla, anche perché le intercettazioni telefoniche della Procura di Taranto hanno rilevato i retroscena dell’Aia del 2011 e la sua voluta e fondamentale debolezza. Nel 2012 il governo ha ideato il primo decreto Salva Ilva. Nel 2013 ne è seguito un altro, teso a salvare il gruppo Riva e a mettere in regola una maxi-discarica interna allo stabilimento, la Mater Gratiae, buco nero senza autorizzazione che è costato l’arresto del Presidente della Provincia di Taranto Florido e sul quale si racconta che la camorra nasconderebbe rifiuti radioattivi. Ancora nel 2013, si è messa l’azienda sotto commissariamento del Governo e si sono concessi altri mesi, anzi anni, per poter realizzare o solo cominciare la progettazione delle misure previste nell’autorizzazione ambientale.

E’ di poche settimane fa il nuovo Piano Ambientale, che diluisce i tempi di intervento e la messa in opera delle misure più urgenti, quelle fondamentali ad arginare la questione ambientale e sanitaria che richiederebbe in realtà provvedimenti immediati di grande portata.

Il 6 febbraio di quest’anno è diventato legge il Ddl cosiddetto ”ILVA/Terra dei Fuochi”, una norma che fa storia nella giurisprudenza perché rappresenta un attacco al bilanciamento dei poteri sancito dalla Costituzione ed una contrapposizione netta al diritto comunitario europeo. Perché questa legge autorizza l’Ilva a non attuare il 20% delle prescrizioni Aia e quindi a contravvenire al diritto europeo che le regola attraverso le direttive. Gli stabilimenti di Taranto potranno continuare a produrre anche solo avendo avviato l’adozione dell’80% del numero complessivo delle misure necessarie ed in quel 20% di disposizioni esentate a priori, l’Ilva ed il Governo – che, ricordiamo, controlla e dirige Ilva attraverso la struttura di commissariamento- potranno includervi provvedimenti importanti quali la copertura del parco minerali o la riduzione delle emissioni non controllate della cokeria, che hanno degli effetti potenzialmente molto pericolosi sulla salute umana.

Il grave sbilanciamento della politica in favore del profitto risulta nuovamente evidente nel momento in cui l’Ilva dichiara di non poter mettere in atto le misure previste dalla legge create ad hoc, a causa di mancanza di fondi, questione che avrebbe dovuto costituire preciso compito dell’azienda e del Governo Italiano nel momento stesso in cui venivano adottate le legge finalizzate a garantire allo stabilimento la piena attività.

Nell’attesa dell’inizio del processo, della messa a norma dello stabilimento o del suo smantellamento, della concretizzazione di una visione del Governo che al momento sembra mancare totalmente, nell’attesa dell’avvio dei lavori previsti in un Piano Ambientale che rappresenta un’offesa a Taranto, la città aspetta.

Perché il processo che sta per cominciare non può che avere un effetto importante, fondamentale ma anche molto limitato nei fatti attuali: perché la produzione dell’Ilva, così come continua ad avvenire, nel totale non rispetto della legge europea, é garantita dalle leggi approvate dal Parlamento della Repubblica Italiana, dai deputati, donne e uomini, che sono stati eletti dai cittadini che adesso strenuamente cercano di difendersi dalle loro decisioni.
Questa è Taranto. La città che lo Stato ha consegnato ad un imprenditore che ha saputo sfruttare governi a lui amici. La città che giovedì assisterà al Processo della Sinistra, al fallimento conclamato di una classe politica che ha tutto compromesso e svenduto.

Probabilmente 50 persone e 3 società saranno processate. Ma quando inizierà, quando si svolgerà, come avverrà, il processo ai partiti che hanno visto e taciuto?

Chi ha governato a Taranto, a Bari, a Roma non poteva non sapere, bastava guardare. Che adesso abbandonino la scena e lascino il governo della città, la risoluzione dei problemi a chi vuole davvero impegnarsi per il futuro e portare la città fuori dal guado.

(18 giugno 2014)
 
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