Cons.superiore intervento

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Libero Rossi
view post Posted on 14/10/2015, 14:18     +1   -1




(EPITAFFIO)
Qualche considerazione sui documenti presentati e in discussione al Consiglio superiore del 12 ottobre 2015
Intervento di Libero Rossi
I documenti in discussione al Consiglio superiore sembrano collocarsi nel solco tracciato dalle diverse prese di posizione nazionali e internazionali sull’accesso all’informazione, alla documentazione, studio e lettura, ma poi non si dice concretamente come questo si debba realizzare. In generale vengono indicati gli obiettivi, qualcuno è pure caduto, per es. l’archivio nazionale del libro; qualcun altro è diventato luogo comune, vedi risorse, personale, come pure le ripercussioni sui servizi della biblioteca o dell’archivio. Voglio dire che la biblioteca come luogo della conservazione (e uso) del libro non viene trattata, quasi che non abbia più compiti di trasmissibilità del proprio patrimonio. Il pensiero va subito alla sua salvaguardia in caso di catastrofi sia naturali (oggi sono popolari le alluvioni) o legate al (cattivo) uso ma anche all’assenza della vecchia figura del bibliotecario conservatore che curi mss e rari. Un discorso complessivo che dovrebbe riguardare la manutenzione delle strutture, le carte di rischio (personale, raccolte e utenza), il restauro ecc. Certo questo ci riporta alla questione delle risorse: investimenti, funzionamento e personale. Su questo fronte non facciamo altro che gridare e leccarsi le ferite che sono sempre più purulente. Mi spiego, per cercare di ovviarvi , o meglio di sopravvivere, da parte dei dirigenti si sono cercati denari in diverse direzioni e tasche - cene, parcheggi, balli, sfilate, affidi ai privati, partite di golf -, tralasciando la questione dell’attinenza di queste iniziative con la vocazione dell’Istituto (ma non quella relativa agli euro ricavati), tanto che rimane l’impressione che così si vogliano posticipare i veri problemi del settore, e direi dell’intero comparto dei beni culturali. Alla base intanto vi è l’assenza di qualsiasi voglia di misurarsi con la gestione e l’organizzazione. Pensate ai fatti accaduti in questi giorni alla Biblioteca Centrale di Firenze e all’Archivio di Roma: manca personale, si dice, quindi si chiude la distribuzione dei libri o la biblioteca. Così una carenza della politica e della dirigenza viene scaricata sul povero (scil.anello più debole) lettore. Un inciso sul tema e risorse: nel 1971 Riccardo Misasi (ma lo fece anche Scotti una decina di anni dopoi) convocò i dirigenti e questi gli chiesero soldi e personale, allora il ministero contava 7000 persone (mancavano gli archivi); poi con Spadolini si arrivò vicino a 30000 persone (per mia esperienza diretta, la BNCF nel 1966 contava 70 dipendenti, apriva tutti i giorni e aveva oltre 1000 lettori al giorno…oggi con 170 persone non arriva a 500!). Certo sono aumentati i servizi, ma un dubbio rimane circa il “cattivo” utilizzo del personale. Basta vedere cosa è successo con la riqualificazione, laddove il personale promosso, smentendo l’accordo nazionale, non ha voluto svolgere le funzioni precedentemente svolte. Emblematico è anche il caso della Soprintendenza archeologica di Roma, dove con accordo sindacale i custodi svolgono solo il 50% del loro orario alle porte e in sala.
Le responsabilità sono duali, della dirigenza poi dei sindacati, che getta troppo spesso la spugna, salvo poi tornare indietro su sollecitazione dal centro, come è successo con quella fiera delle vanità del Colosseo e BNCF.
Ma torniamo al tema delle possibili soluzioni, o meglio come governare il comparto in una situazione di “riforme”(sic!) unite ad una forte contrazione della spesa pubblica e di assenza di risorse. Ricorderei il superamento della delega alle regioni in merito alla tutela dei beni librari (l.125 del 2015) che in qualche modo si cerca di rappezzare: magari ci farà il punto la Direzione generale delle biblioteche. E che dire poi riguardo all’ordine del giorno accolto dal governo in sede di discussione della “riforma del senato” per accorpare più regioni? Questo in particolare lo riferirei al settore degli archivi. Il documento inviatoci per questi ultimi continua a muoversi secondo tradizione, nel senso che è la riproposizione per il settore - chiamato impropriamente amministrazione archivistica secondo lo schema interpretativo del DPR 1409/1963- della tradizionale Guida generale degli Archivi, che contiene riflessioni condivisibili in alcune parti ma con delle incongruenze di fondo. Il punto più emblematico è nella rappresentazione delle funzioni degli archivi e della soprintendenze archivistiche. Si sorvola il nodo di fondo, posto implicitamente dal dpcm 171/2014, e cioè quanti archivi? La riorganizzazione del Mibact, all'articolo 37, nel qualificare la funzione degli istituti archivistici non ne indica la competenza territoriale, al contrario del DPR 1409 che recita “ in ogni capoluogo di provincia”. Se si collega tale articolato con la soppressione delle Province (riforma PA), siamo posti di fronte ad almeno due domande: quanti archivi ed allocati dove? La recente riorganizzazione del ministero Interni ha definito la soppressione per accorpamento di 23 Prefetture e conseguentemente di Questure e Comandi VVF, cioè le articolazioni degli interni. Gli archivi di Stato di tali prossime ex province e prefetture (in alcuni casi Sezioni di AS trasformate in AS) che fine faranno? Verranno accorpati per analogia?
Ancora più confusa è la condizione delle Soprintendenze archivistiche. Anche in questo caso il dpcm, all'articolo 36, non fa esplicito riferimento - ancora una volta al contrario del DPR 1409 - alla competenza territoriale. Questa va dedotta implicitamente, ma non è nettamente regionale, tant'è che l'esito è stato di soprintendenze regionali, soprintendenze interregionali, di tre soprintendenze archivistiche accorpate con i rispettivi archivi di stato del comune capoluogo di regione (Bologna, Genova, Palermo).
Riguardo agli organici o meglio alla proposta del loro incremento, tutto bene, ma è solo...nominalistico, avulso da qualsiasi raffronto fra istituti omogenei della stessa o di altra regione.
In sintesi, è in discussione, nel bene e nel male, il modello di Stato. Non si può sfuggire a questo nodo come si è fatto erroneamente dal 2012 ad oggi con il risultato, almeno per il settore archivistico, di una non chiara articolazione di struttura, stancamente imperniata sulla separazione fra tutela - come se competesse alle sole soprintendenze archivistiche - e conservazione ( gli archivi) invece che pensare alla unicità della funzione di tutela a fronte della specificità del bene archivistico.
Facile la proposizione, forse anche demagogica o opportunistica, di incrementare le funzioni degli istituti archivistici senza alcuna oggettiva valutazione.(nel documento Anai vengono ricordati alcuni casi emblematici, quale l’ AS Palermo che avrebbe meno archivisti dell'archivio di Siracusa, ecc.).
Comunque sulla ripartizione dei nuovi organici credo che la revisione oggi sia difficile, viste le preoccupazioni che vi hanno presieduto, che sono quelle di salvaguardare le persone presenti non solo nella regione, provincia ma anche nell’istituto. Un disegno che si sforza di ridurre al minimo la mobilità del personale….sicuramente fra i comparti, ma addirittura anche all’interno degli uffici del Mibact. Solo che così si è rinunciato a dare una sistemata agli organici che, prima delle ripartizioni metrolineari, avrebbe dovuto discendere dalla vocazione del Mibact, cioè dalla tutela, dai servizi e dal loro sviluppo (comunicazione, informatica…),nonché dalle funzioni da affidare a terzi. La discussione è ancora in piedi e non trova risposte univoche, tanto che su tutte le funzioni interviene ormai il privato (custodia, vigilanza, movimentazione, restauro, riproduzioni, progettazione….a quando la tutela?). Verrebbe utile definire gli ambiti d’intervento, per esempio la fruizione, la vigilanza diurna, la parte operativa del restauro ma non la catalogazione, la progettazione, il rischio, l’emergenza, la tutela… Una definizione dei ruoli e delle professionalità, in modo da controllarne le diverse dinamiche. Per intenderci, non possiamo esaltare a tal punto il ruolo del privato –come è avvenuto nel caso dell’Egizio,che indubbiamente ha risolto molti dei precedenti problemi gestionali attraverso una politica delle assunzioni privatistica e a basso costo-, da affidargli contestualmente anche la completa gestione della tutela e della vigilanza sui beni. Se questa diventasse la linea, tanto varrebbe chiudere il Mibact.

politica delle sedi di archivi
Sarebbe stato un elemento di forza muovere dalla considerazione oggettiva delle sedi di archivi e sezioni per ragionare sul superamento degli affitti e la definizione integrata di una rete di depositi conservativi (preliminarmente risanati), valutando le possibili aggregazioni territoriali ed evitando, ove possibile, l'antico riferimento all'ambito provinciale. Invece si è continuato ad avallare il sistema sopra ricordato delle funzioni di archivi e soprintendenze in termini di competenza territoriale, già smentito, come ricordato, dal dpcm di riorganizzazione Mibact.

Formazione professionale per gli archivi
Anche in questo caso non trovo novità: si continua a sfuggire, o si dimentica un nodo giuridico essenziale. Le 16 scuole di archivistica, paleografia e diplomatica annesse agli Archivi di Stato, di fatto ancora regolamentate dal decreto di organizzazione archivi del 1911 (!), rilasciano un diploma che, oggi, ha una valenza giuridica relativa. Alle Scuole si accede con il diploma di scuola secondaria superiore, non sono post-lauream, di primo o secondo livello. Non basta richiamare la chimera dell'accordo con le Università. I titoli accademici possono essere rilasciati solo dagli atenei. Se si andasse ad una intesa, le Scuole potrebbero diventare parte di un corso di laurea, senza accampare mistificazioni.. È un antico tema, precisato in incontri fra archivisti e accademici, ma continuano ad esserci ripetitori dello stesso tema, incuranti della diversa realtà.

Documentazione digitale
Avrebbe potuto costituire il viatico per un ruolo incisivo del settore archivi, nel rispetto del principio della unicità dell'archivio, sia in fase di formazione che in quella di conservazione. Significherebbe esercitare competenze non solo sulla fase 'storica' della conservazione, ma già in quella della formazione, come è il caso appunto della documentazione digitale, che si origina già tale. Ma da lunghi anni ( dal governo D'Alema), per oggettiva debolezza degli archivi, il tutto è passato ad altri, a cominciare dalla PCM. E noi ?.

Orari
Va ricordato che gli Istituti del Mibact - come da accordo generale del 2001 sulla produttività ed efficienza con ampliamento degli orari di apertura – devono garantire 11 ore giornaliere di apertura al pubblico delle sale di lettura e di studio ad eccezione del sabato (per biblioteche ed archivi) in cui l’apertura avviene in orari antimeridiani.
Anche in questo caso sarebbe corretto partire prima dall'offerta del servizio, e su questo articolare l'orario di lavoro dei dipendenti (per es. i musei allarmati dovrebbero sopprimere il servizio notturno). Non sempre è così. Si registrano chiusure anticipate, dal lunedì al venerdì; chiusure il sabato (Marucelliana, archivio di stato di Siracusa…); giornate con chiusura pomeridiana per quattro volte a settimana ecc. Una riduzione che però non ha inciso sulla retribuzione della produttività/efficienza ( ma questo è un altro problema).
In più la riduzione di bibliotecari e archivisti, e soprattutto di personale della vigilanza per via della riqualificazione o della pensione, ha portato a servirsi di personale esterno.
Le strade finora tentate sono giudicate irrisorie, parziali, se non dispendiose: abbiamo visto risorse del volontariato (lavoro ordinario; ha un costo ed è sotto pagato); servizio civile (limitato nel tempo); la leva di giovani ultralaureati impiegati come tappabuchi, qualche co.co.co, poi partite IVA ecc. Una varietà di lavoratori all’insegna della provvisorietà e del precariato. Tipologie che incidono sulle magre risorse del funzionamento e che non corrispondono alle necessità. Penso solo all’addestramento per prelevare o ricollocare i pezzi o segnalare quelli da restaurare o da eliminare dalla lettura ecc. che viene vanificato con la cessazione del rapporto. Ferma restando l’arditezza del tentativo di riportare il personale riqualificato a riassumere le funzioni precedentemente svolte nell’accoglienza, distribuzione, custodia e vigilanza, non resta che affidare tali funzioni alla società Ales. Certo sorgeranno problemi di finanziamento sul funzionamento ordinario, a meno di non cercarli presso enti locali o privati; e magari con iniziative in linea con le funzioni dell’istituzione e dei suoi fondi.
Da non scartare è l’ipotesi, in qualche modo presente nel documento delle Biblioteche, di costruire sistemi/consorzi a livello locale mettendo in comune le risorse umane, di stabilire la circolazione dei pezzi, gli orari ecc. Infine è da rivedere il regime degli orari razionalizzandoli: per esempio, dal lunedì al venerdì andranno garantite le undici ore di apertura,(possibili anche con il sistema del prosieguo di studio con uno e due prelievi in ore pomeridiane) , mentre il sabato può essere attuata la chiusura per l'intera giornata. Sarebbe una semplificazione organizzativa, una oggettiva riduzione dei costi senza incidere significativamente sull'utenza, in particolare quella qualificata e frequentatrice delle sale di studio.
Da ultimo una provocazione: tenere presente qualche apertura serale per alcuni istituti, utilizzando i fondi locali della produttività o quelli dello straordinario (ed evitando l’apertura di una domenica l’anno, che sembra servire solo a distribuire soldi al personale).
 
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