La doppia riforma del Mibact, Pietro Giovanni Guzzo invita alla discussione

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Libero Rossi
view post Posted on 1/3/2016, 06:26     +1   -1




La doppia riforma del Mibact, Pietro Giovanni Guzzo invita alla discussione

Riprendiamo l'appello del prof. Pier GIovanni Guzzo a partecipare alla discussione e confronto finalizzato ad individuare iniziative comuni verso l'attuazione della riforma del Mibact:
"Nella mia invidiabile posizione di pensionato, dopo aver ascoltato in vari ambienti pareri diversi fra loro, posso esprimere liberamente il mio pensiero senza timore alcuno di ritorsioni. Ed è questo il caso per quanto riguarda la diffusa insofferenza, per non dire decisa opposizione, sia alle avvenute due riforme del Ministero per i Beni Culturali ed il Turismo sia alle ventilate future disposizioni a proposito della fine dell'archeologia preventiva. In questa situazione, così come in molte altre del genere verificatesi in passato, la difficoltà principale che si oppone al canalizzare ed unificare, almeno nel più generale coordinamento delle azioni di denuncia e di protesta, è quella dell'identificazione della titolarità dell'opposizione stessa. Si hanno, oggi, diverse realtà associative che hanno animato la protesta finora espressa; ed aleggia il timore che di questa protesta qualcuno, eventualmente anche rappresentante di organi istituzionali attivi nelle dette condannabili riforme, possa assumere la testa, ricercando un tornaconto particolare oppure un assopirsi della rivendicazione. Credo, pertanto, che l'invito che un pensionato rivolge a tutti coloro che abbiano in animo di verificare, rendere più incisiva e duratura la protesta finora espressa non possa destare né diffidenza né timori. Quanti, dunque, abbiano in animo di riunirsi allo scopo di confrontarsi e discutere per giungere ad una comune ed effettiva azione unitaria di protesta contro la doppia riforma del Ministero sono invitati a ritrovarsi a Roma, piazza San Marco 49, secondo piano, presso l'Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell'Arte il giorno 22 marzo alle ore 10,30". Pier Giovanni Guzzo
Fonte: Patrimonio sos

Intervento alla Consulta universitaria per l'archeologia del mondo classico (12 febbraio 2016)
11-02-2016
Daniele Manacorda
Da uno come me che da quasi venti anni scrive in favore di una tutela contestuale e quindi, delle Soprintendenze Uniche, non potete aspettarvi altro che una normale soddisfazione nel vederle diventare finalmente legge dello Stato. Dopo l’articolo di Pavolini su Ostraka, ripresi infatti quelle argomentazioni negli atti di un Convegno su “L’Università nel sistema della tutela”, pubblicati negli Annali dell’Associazione Bianchi Bandinelli (1999), che organizzammo allora con l’indimenticato Michele Cordaro. L’ho ripreso altre volte, ma non è questo che può interessare. Mi sono sempre domandato, piuttosto, come mai – a fronte di tante opposizioni verbali – nessuno avesse mai preso la penna in mano in venti anni per confutare per iscritto, in termini culturali, le argomentazioni a favore con altrettante argomentazioni ‘contro’.
Vi risparmio le motivazioni della mia posizione, che negli anni si è fatta semmai più radicale, di fronte al progressivo sfilacciamento dell’azione di tutela e alla incapacità manifesta di gestire la filiera ricerca/tutela/valorizzazione/gestione, di cui ciascuno di noi è stato testimone in questi decenni, vivendo sulla propria pelle le difficoltà crescenti di un rapporto sano e corale tra mondo della ricerca e mondo della tutela, pieno di qualità e potenzialità, eppure dal volto inefficiente o abulico o arrogante, come da sempre la Pubblica Amministrazione ci ha abituati a conoscerla, sì che i migliori fra i nostri colleghi, ampiamente presenti in quelle file, sono stati e sono tante volte oggetto di una nostra insofferente solidarietà.
Per me la nascita delle Soprintendenze Uniche rappresenta un grande successo proprio dell’archeologia, della sua visione contestuale e multidisciplinare, del suo approccio globale al territorio, senza depotenziare e tanto meno abbandonare gli specialismi, ma facendoli dialogare fra loro perché siano quindi tutti più utili e più forti (ho sempre ritenuto che ad un problema archeologico non corrisponda mai una soluzione esclusivamente archeologica).
Con Soprintendenze Uniche, ben organizzate in sette aree funzionali (tra cui ovviamente quella archeologica), cioè con una struttura che io leggo di natura dipartimentale ma non blindata, avremo forse strategie di intervento pubblico più omogenee e meno conflittuali, avremo maggior coordinamento, lasciato oggi alla buona volontà dei singoli, avremo, avranno i cittadini risposte meno divergenti e in tempi possibilmente meno biblici.
Di fronte ai ‘no senza se e senza ma’ e agli ‘al lupo al lupo’ ho sempre cercato di vedere il bicchiere mezzo pieno, e non vedo perché non dovrei farlo anche ora. Ora che anche associazioni tradizionalmente non inclini al cambiamento, come Italia Nostra, si dicono non pregiudizialmente contrarie alla riforma se questa saprà garantire una nuova visione integrata della tutela, e della valorizzazione, e il rispetto delle diverse professionalità.
L’archeologia non solo non morrà, come ululano le solite Cassandre, ma sarà ovviamente presente e in prima fila in tutte e 39 le nuove soprintendenze, per non parlare dei parchi archeologici, su cui tanto abbiamo lavorato negli anni passati, grazie al grandissimo impegno di Francesca Ghedini.
Più che lamentarsi dell’infausto destino che attende i nostri colleghi archeologi alle dipendenze dei paventati soprintendenti architetti, si pensi al destino radioso che attende architetti, storici dell’arte, demoetnoantropologi (se esistessero) quando saranno coordinati da un archeologo, che porterà in quelle stanze la visione contestuale, globale e multidisciplinare della nostra disciplina. Si tratta sempre di come si vede il bicchiere.
Criticità della riforma
Ma lasciamo stare. Guardiamo invece le criticità, che non mancano, nelle forme e nei contenuti.
Una critica riguarda la mancanza di un adeguato dibattito e anche di una migliore spiegazione al paese dei motivi della riforma; l’altra il percorso scelto per avviarla (l’emendamento alla legge di stabilità). E’ ovvio che non mi ritrovo in nessuna delle due scelte. Provo a mettermi nei panni della politica, e magari mi dico che la politica o ‘fa’ (magari male) o sta ferma (e fa peggio) e mi dico anche che, a fronte di molte prese di posizione a favore di questo passo negli ultimi due anni, scritte e dibattute in varie sedi, e pubblicate, non ne conosco di altrettali e altrettante di segno contrario che abbiano alzato il livello delle proposte culturalmente valide e abbassato il coro delle lamentazioni, tanto care a chi ha il monopolio di certa carta stampata. Le chiacchiere alla macchinetta del caffè o gli sfoghi sul web lasciano il tempo che trovano, il confronto culturale e politico si fa mettendoci la faccia e avanzando argomentate proposte alternative: magari per trovare benefici punti di incontro. E davvero afasica è la stata la componente tecnico-scientifica in questi decenni, e per questo mi interessa di più capire perché le motivazioni culturali della riforma sfuggano innanzitutto ai tecnici, a tanti funzionari della tutela in primo luogo e forse anche a noi docenti, che dovremmo essere, per il nostro ruolo di formatori, la camera di consiglio della progettazione del futuro.
Non c’è dubbio – molti lo hanno sottolineato – che questa è la seconda maxiriforma che interviene sul corpo stanco e malato delle nostre Soprintendenze. Capisco perfettamente la posizione di Filippo Gambari, che avrebbe auspicato maggiore gradualità (benissimo: ragioniamo su questo). Mi dico anche che una cura da cavallo può stroncare un corpo debilitato, ma senza alcuna cura quel corpo è destinato a perire. E la cura non può essere la sola reimmissione in vena di risorse e personale (che finalmente cominciano a riapparire all’orizzonte: almeno questo al Ministro dobbiamo riconoscerlo); occorre una cura radicale, che deve essere innanzitutto culturale e poi organizzativa, perché il patrimonio culturale non è più, o meglio non ha più l’immagine e il ruolo, che poteva avere ai nostri occhi di studenti nella bambagia delle facoltà degli anni ‘60 o ‘70, ma tocca nervi centrale dell’educazione, della cultura, del paesaggio, dell’ambiente, del confronto fra culture di questo secolo globalizzato e sfasciato. Se qualcuno si assume l’onere di dire che va tutto bene e che il giocattolo non va toccato, si assuma anche la responsabilità di dire come far funzionare quel giocattolo rotto.
C’è anche una serie di critiche di carattere più direttamente politico, che contestualizzano legittimamente questa seconda riforma nell’orizzonte di una serie di provvedimenti di riforma della Pubblica Amministrazione, che hanno suscitato critiche severe, allarmismi giustificati, dubbi e perplessità anche in me. Mi riferisco alle norme sul silenzio-assenso, al ruolo dei prefetti nella nuova legge Madia, alla forme di gestione delle conferenze di servizio. Non entro in questi tecnicismi, peraltro di grande rilevanza, prendo atto di alcune rassicuranti osservazioni di giuristi di valore, come Sciullo recentemente su Aedon per quanto riguarda il ruolo dei prefetti… ma insomma, non mi basta. Prendo atto anche delle ripetute rassicurazioni date dal Ministro Franceschini, che ha sempre dichiarato che la funzione dei prefetti sarà di mero coordinamento territoriale dei vari servizi dello Stato, che non interverranno nella sostanza delle decisioni relative ai beni culturali, e che il parere del soprintendente unico, proprio perché unico, sarà più forte e autorevole; e conterà. Ma su questo è bene incalzare ministro e parlamento. Come va incalzato sulla vicenda dell’archeologia preventiva: si dice che venga tolta dal codice degli appalti per metterla direttamente nel Codice Urbani? Bene, ne siamo contenti: e allora si inserisca nel Codice Urbani e solo dopo si tolga dal codice degli appalti.
Incalziamo la politica, mettiamola di fronte alla sue responsabilità, non facciamo sconti. Ma non guardiamo solo il nostro ombelico. Facciamoci carico anche del dovere della Pubblica Amministrazione di provare a dare finalmente risposte univoche e rapide agli enti locali, ai cittadini, alle imprese, come sarebbe normale in un moderno Stato democratico.
Se Renzi da sindaco 5 anni fa aveva mostrato le sue idiosincrasie linguistiche circa la parola soprintendente, aveva forse torto quando definiva le Soprintendenze un potere monocratico che non risponde a nessuno? Non denunciava un problema vero, che è all’origine della percezione tutt’altro che partecipativa che la pubblica opinione ha verso l’amministrazione della tutela, e per proprietà transitiva verso l’archeologia?
Non so quanti in questa sala abbiano letto la Convenzione di Faro del 2005, ma quella convenzione ha innovato profondamente l’approccio al patrimonio spostando in modo inequivocabile l’attenzione dal valore in sé dei beni al valore che debbono poterne conseguire le persone, traghettandoci dal “diritto del patrimonio culturale” al “diritto al patrimonio culturale” ovvero al diritto, individuale o collettivo, di trarre beneficio dal patrimonio. Ci abbiamo messo otto anni per ratificarla: vogliamo però prendere atto che è ad essa che ora ci dobbiamo attenere?
Più sostanziosa – e da me condivisa – è la critica allo spezzettamento interprovinciale delle nuove soprintendenze, per non parlare del territorio di Roma, la cu nuova articolazione andrebbe almeno meglio motivata.
Credo che farebbe assai bene il Ministro ad ascoltar la concretezza di quelle critiche, e delle difficoltà logistiche e pratiche che mettono in evidenza, che sia per la gestione degli inventari e degli archivi, dei depositi e dei laboratori: tutte questioni reali, concrete, tutte certamente risolvibili con la volontà politica e in parte con l’innovazione tecnologica, ma che attendono una risposta. Perché la loro risoluzione potrà diventare davvero il discrimine tra il buon esito della riforma e il suo eventuale fallimento. E lì si giocherà probabilmente l’adesione degli addetti, se, di fronte ad una scarsa percezione culturale della riforma, si farà ricorso ancora una volta alla abnegazione del buon funzionario, sempre utile mai decisiva.
Andare avanti
Personalmente ritengo che una organizzazione su base regionale sia di gran lunga preferibile e mi sento in sintonia con Gambari quando ricorda che a scala regionale sarebbero presenti tutte le competenze disciplinari, che con l’attuale carenza di personale potrebbero mancare a scala provinciale. Per non parlare delle opportunità di scambio umano e professionale allargato e generazionale che verrebbero garantite da una struttura unica. E per tacere delle economie di scala.
Tra l’altro, l’organizzazione frammentata si concilia male con l’esigenza di produrre pareri sempre più rapidi, mentre l’organizzazione a livello regionale si adatta meglio al confronto con le
competenze urbanistiche regionali, nei confronti della quali sarebbe preferibile operare alla stessa scala. Tanto più che proprio la redazione dei Piani Paesaggistici Regionali rappresenta l’attuale orizzonte dell’impegno e una sfida tutta da vincere, dove si vedrà quanto la nostra visione della tutela contestuale potrà incidere e fare da guida.
Insomma, personalmente credo che una terza fase della riforma potrebbe anche riprendere in mano il discorso sulla valorizzazione e sui musei, dei quali adesso non posso certo parlare. La prima riforma Franceschini in questo campo ha innovato moltissimo, imponendo per la prima volta drasticamente (ed io non posso non essere d’accordo, anche se inizialmente ero rimasto perplesso) la pari dignità del comma 1 del nostro articolo 9 (quello sulla diffusione della cultura, che io leggo valorizzazione) rispetto al mantra del comma 2, che non sta in piedi senza una parallela attuazione del primo.
Riunificare nelle Soprintendenze uniche regionali, una volta affermata e raggiunta la pari dignità dei due momenti, tutela e valorizzazione (musei, parchi…) può essere una prospettiva su cui ragionare, ma a partire dalla considerazione che ricerca, tutela, valorizzazione e gestione sono quattro cose ben diverse, che tuttavia si danno la mano: perché la ricerca ci fa capire il senso delle cose; la tutela ci dice come proteggerle; la valorizzazione ci dice come conservarne il senso diffondendone la percezione; la gestione ci dice come continuare a poterlo fare. E alla vulgata che tutela e valorizzazione sono la stessa cosa e quindi tutto deve restare così com’è, con la tutela al primo posto (quando ce la fa) e la valorizzazione in cantina, con i musei nella condizione di semplici uffici, per fortuna non è più possibile tornare.
Formazione
Tra noi possiamo dirci che tutto questo sconquasso mette ancora più a nudo il tema centrale che tutti li contiene e che ci investe direttamente: quello della formazione. Avranno i nuovi soprintendenti unici la capacità di gestire una tutela contestuale e multidisciplinare? Non dovremmo prima formarli? Poiché è insensato discettare se aspettare prima l’uovo o la gallina, lasciatemi dire che sulla carta ci sono almeno due temi fondamentali che vanno sotto il nome di Policlinici dei beni culturali e di Scuola Nazionale del Patrimonio, che prima o poi dovremmo affrontare di petto. Non piacciono i nomi? Se ne trovino altri. Ma che la formazione universitaria, anche in campo archeologico, debba trovare ispirazione e guida in una riflessione comune sul patrimonio culturale e sulle forme della ricerca/tutela/valorizzazione e gestione di questo patrimonio credo sia ormai chiaro a tutti. E questo ripensamento della formazione non riguarda solo le discipline archeologiche, storico-artistiche o architettoniche: il mondo del presente, non del futuro, ha bisogno, nella pubblica amministrazione e nel sistema diffuso del patrimonio culturale, di molte altre competenze specialistiche che toccano certo l’archeologia (geologi, bioarcheologi, archeometristi…), ma anche l’urbanistica, l’ingegneria, l’informatica e la comunicazione, l’economia della cultura. Sarebbe davvero bello se le nostre consulte potessero un giorno organizzare insieme con la nuova Direzione educazione e ricerca del Mibact una giornata di riflessione proprio su questo tema, per evitare sempre possibili e sciagurate scelte autoreferenziali dall’una parte e dall’altra.
Conclusioni
Insomma, le novità non sono mai giuste in sé. Ma il nuovo – così io penso - si misura sempre rispetto all’esistente. Dopo anni di una situazione deteriorata, di cui noi per primi ci siamo sempre lamentati, mentre l’archeologia e le altre materie attinenti il patrimonio culturale sono in difficoltà, idee nuove e progetti nuovi sono necessari per salvaguardare il meglio della nostra tradizione (e questa salvaguardia passa sempre attraverso una sua continua rimotivazione culturale), magari correndo qualche rischio, ma evitando le secche dell’impotenza priva di prospettive.
Arricchiamo il dibattito presente, proponiamo aggiustamenti e miglioramenti, indichiamo puntigliosamente quello che non va, mandiamo al ministro o a chi per lui, le nostre critiche, osservazioni, perplessità, e possibilmente le nostre soluzioni, ma giochiamo al tavolo delle riforme.
In un’età come questa, affascinante ma stretta tra l’immobilismo della paura di perdere antiche conquiste e la necessità di contribuire alla storia di cui vogliamo anche essere partecipi, ho cercato da tempo di lasciarmi alle spalle l’etica paralizzante dei principi, con le sue strade dritte che non portano in nessun paese, per affrontare le salite impervie dell’etica della responsabilità, perché – raggiunta una certa altezza – neppure possiamo immaginarceli gli orizzonti nuovi che ci si possono spalancare davanti, dettati magari da quelle utopie che forniscono il carburante alla concretezza dell’azione umana. E sempre Weber ci viene in soccorso quando ci dice che “non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre all'impossibile". Certo, pensare responsabilmente l’impossibile, è il compito in primo luogo dei giovani. Ma è il ruolo dell’Università nel suo insieme: se noi docenti perdiamo di vista la funzione fondamentale di corpo pensante, critico dell’esistente e costruttore del futuro, abdichiamo alla cosa più bella che la sorte ci ha dato regalandoci il mestiere che professiamo. Come ha avuto la cortesia di scrivere Corrado Augias in risposta a una mia breve lettera qualche giorno fa su La Repubblica: “L’idea di cercare insieme una soluzione è sempre la strada migliore”. Facciamolo.
Daniele Manacorda

ettera dei Dirigenti Archeologi al Ministro Franceschini sulla riforma Mibact
Al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, On. Dario Franceschini
Al Sottosegretario di Stato, On. Ilaria Borletti Buitoni
Al Segretario Generale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, arch. Antonia Pasqua Recchia
Al Presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, prof. Giuliano Volpe

Al Direttore Generale Archeologia, dott. Gino Famiglietti

I sottoscritti dirigenti archeologi, visto lo schema di riorganizzazione del Ministero, prendono atto che è stata assunta la decisione politica di adottare un nuovo modello di organizzazione del sistema di tutela del patrimonio culturale italiano, che non prevede più l’esistenza di Soprintendenze specificamente dedicate all’archeologia nelle diverse regioni, ma Soprintendenze uniche con competenze miste distribuite sul territorio su base inter-provinciale.
E’ doveroso, prima di tutto, ricordare che le procedure di tutela si sono sviluppate da decenni separatamente nei diversi settori di competenza tecnica (archeologia, architettura, arti), considerate le peculiarità proprie di ciascuno di essi. In particolare la concezione della tutela del bene archeologico, già di per sé soggetto ad uno speciale regime giuridico rispetto agli altri beni culturali, anche a seguito della ratifica italiana della Convenzione della Valletta è andata ben oltre il dettato della Legge del 1939, ripresa dal Codice attualmente in vigore, e si estende dalle “cose di interesse archeologico” alla tutela integrale dei depositi stratigrafici conservati nel sottosuolo, a prescindere dalla loro antichità. Demandare le decisioni strategiche in questa materia a dirigenti – sia pure dotati di funzionari specialisti -che non abbiano una precisa coscienza della disciplina archeologica può comportare il rischio di una sottovalutazione delle problematiche di conservazione e/o di un atteggiamento meramente formale rispetto al loro corretto trattamento, con conseguente impatto sui tempi e i costi degli interventi di archeologia preventiva.
Ancora più in generale, la frammentazione delle funzioni di tutela tra più uffici territoriali di dimensioni ridotte, rischia di privilegiare un atteggiamento “provinciale” della tutela, che non consente una visione di carattere generale delle problematiche storiche. Teniamo a ribadire che soltanto una conoscenza adeguata del patrimonio archeologico e delle diverse articolazioni delle discipline che all’archeologia fanno riferimento consentono un’attività di tutela che non sia cieca ma volta a privilegiare scelte necessarie e strategiche, oltre che capace di dialogare con la società ed incidere in essa attraverso la possibilità di far conoscere ed apprezzare il passato, al tempo stesso salvaguardandolo.
Sulla base di queste considerazioni ci permettiamo di esprimere il nostro dissenso da orientamenti organizzativi che svalutano il carattere tecnico-specialistico delle Soprintendenze e ne riducono la portata territoriale alla dimensione provinciale e non più regionale. Anche un’opzione inter-settoriale, come quella programmata, avrebbe maggiori probabilità di successo se attuata a livello di regioni e non di province, enti peraltro in corso di ridimensionamento a livello amministrativo generale.
Ciò premesso, siamo consapevoli che come funzionari dello stato, pur avendo superato concorsi pubblici specifici per funzionari archeologi prima e per dirigenti archeologi successivamente, siamo tenuti ad assumerci le nuove responsabilità che ci verranno affidate dal nuovo schema organizzativo, cercando di svolgerle nel modo migliore e con spirito di lealtà.
Proprio per questo, forti delle esperienze vissute in questi mesi per il passaggio dei musei e aree archeologiche ai Poli Museali, ci permettiamo di chiedere che la transizione avvenga secondo tempi rapidi (la situazione di provvisorietà rischia di avere pesanti ripercussioni sulla tutela), e soprattutto con indicazioni univoche, chiare e coerenti, e nella piena consapevolezza delle situazioni assai articolate presenti in periferia.
Sono nostro interesse la salvaguardia del patrimonio archeologico e del paesaggio culturale e la continuità dell’azione amministrativa, ad evitare che nel lasso di tempo necessario per organizzare la nuova articolazione il territorio italiano, già fragile e sottoposto a numerose modifiche ed opere pubbliche e private, abbia a risentire in modo irrecuperabile della trasformazione delle articolazioni territoriali del Ministero.
In particolare si ritiene opportuno segnalare i seguenti aspetti problematici. Si tratta solo delle criticità più evidenti. Appare innanzitutto chiaro che la creazione delle nuove Soprintendenze uniche non potrà avvenire affatto a costo zero, dovendo individuare in molti casi nuove sedi, oppure adeguare quelle esistenti e trasferire strutture, depositi, archivi e personale.
1) Il materiale archeologico (in maggioranza, proveniente da scavi non completamente studiati né ancora catalogati, non inventariato) non necessariamente è conservato solo nei Musei e non sempre in ordine ad una distribuzione sub-regionale; quindi è anche in questo caso probabile che alcuni uffici si troveranno a detenere materiale proveniente da altri territori, con tutte le responsabilità e le spese connesse per la gestione; il problema della adeguata dotazione e della organizzazione di depositi per la conservazione di materiale archeologico diviene nuovamente centrale, vista anche l’appartenenza della quasi totalità dei Musei ai Poli.
2) Gli archivi sono organizzati, da quando esiste ESPI, non per topografia ma per procedimento, e quindi la separazione dei documenti richiederà tempo e risorse dedicate, salvo per gli archivi storici, per i quali esiste invece la necessità di conservazione nelle sedi originarie.
3) I laboratori di restauro, fotografici, grafici con attrezzature e gli archivi sono concentrati in un’unica sede e hanno caratterizzazione specificamente archeologica. Nelle soprintendenze uniche ubicate in sede diversa da quella delle attuali soprintendenze archeologia tutti questi servizi dovranno essere riorganizzati ex-novo in forma integrata.
4) Lo spostamento del personale dalla sede di attuale appartenenza costituirà un problema cruciale e richiederà probabilmente tempi lunghi; il rischio è che nelle regioni di maggiore estensione alcuni ruoli (specie archeologi e restauratori specializzati, ma anche quadri intermedi, ormai in grave insufficienza ovunque) rimangano carenti in alcune sedi e sovrabbondanti in altre. E’ invece importante che ogni Soprintendenza abbia la dotazione organica necessaria per far fronte ai numerosi compiti che la attendono. Si deve poi cogliere questa occasione per integrare gli organici con personale competente nel settore informatico visti gli obblighi imposti dall’amministrazione digitale.
Ci auguriamo che almeno questi accorgimenti, finalizzati al miglior successo possibile dell’attuale schema di organizzazione, possano trovare accoglimento presso le SS.LL.

I dirigenti archeologi, Mariarosaria Barbera, Simonetta Bonomi, Elena Calandra, Adele Campanelli, Teresa Elena Cinquantaquattro, Francesco di Gennaro, Luigi Fozzati, Filippo Gambari, Luigi La Rocca, Luigi Malnati, Egle Micheletto, Marco Edoardo Minoja, Mario Pagano, Jeannette Papadopoulos, Andrea Pessina, Vincenzo Tiné.

ettera aperta al ministro Franceschini del coordinamento degli archeologi italiani
Versione approvata dal tavolo di coordinamento degli archeologi italiani nella riunione del 24 febbraio 2016.

Egr. Signor Ministro On. Dario Franceschini,
venerdì 19 febbraio si è tenuto, nell’ambito del Salone Internazionale dell’Archeologia 2016 di Firenze (TourismA), una tavola rotonda promossa dal coordinamento delle associazioni degli archeologi italiani e presieduta dal prof. Giuliano Volpe dal titolo “Formazione Ricerca Tutela Professione”, che ha visto la partecipazione delle molteplici componenti del mondo archeologico italiano, con interventi di docenti universitari e ricercatori, di esponenti delle associazioni professionali e delle imprese, di dirigenti e funzionari del MiBACT.
L'incontro ha rappresentato una tappa di pubblico confronto in vista della creazione di un soggetto associativo che rappresenti in forma federata le molte migliaia di archeologi che operano nei diversi settori della disciplina.
Nel corso dell'incontro sono stati affrontati i principali temi legati al mondo dell'archeologia e della professione dell'archeologo: dalla formazione universitaria alla libertà della ricerca, dal libero accesso ai dati a scopo di ricerca fino alla migliore organizzazione delle strutture pubbliche di tutela, dall'archeologia preventiva ai musei e parchi archeologici, dalle missioni archeologiche all'estero alla scuola di Atene.
E’ stato un momento importante di confronto nel corso del quale sono emerse, seppure con differenti accentuazioni e sottolineature derivanti dalle diverse visioni e dalle criticità che ciascuno dei settori rappresentati riscontra, elementi di forte preoccupazione per lo stato attuale e per il destino della disciplina archeologica tutta, nelle sue diverse declinazioni.
Tutti hanno manifestato la necessità di un radicale cambiamento che, senza disperdere il patrimonio di esperienze, sviluppi ulteriormente la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico, fugando i timori per ogni rischio di un loro depotenziamento e marginalizzazione.
In particolare sono state sottolineate le perduranti carenze normative circa la regolamentazione di tutto il settore professionale, i pericolosi contraccolpi che deriverebbero dal paventato stralcio delle norme riguardanti la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico dal nuovo Codice degli Appalti, la profonda preoccupazione nei confronti dei provvedimenti di riforma del MiBACT, per l’elaborazione dei quali è mancato un confronto serio e costruttivo con tutti i soggetti interessati, in cui si sarebbero potuti dibattere tutti quegli aspetti che potrebbero generare pesanti conseguenze in ordine alla efficacia dell’azione di tutela esercitata dagli Uffici periferici del Ministero. Si è inoltre ribadita forte preoccupazione nei confronti di quanto previsto dalla Legge 124/2015 (cd. Madia) in materia di silenzio-assenso, riorganizzazione della conferenza dei servizi, coordinamento territoriale da parte delle Prefetture. In una fase di grandi cambiamenti, auspichiamo un più stretto e sistematico rapporto di dialogo e collaborazione con il mondo dell’università, della ricerca, dei professionisti, delle imprese e del MIBACT.
Ed è con spirito costruttivo che si ritiene necessario e urgente sottoporre alla Sua attenzione le seguenti richieste:
1. scongiurare il rischio di un drastico depotenziamento dell’istituto dell’archeologia preventiva, evitando lo stralcio degli artt. 95-96 del nuovo Codice degli Appalti. Qualora si optasse per il trasferimento dell’istituto nel Codice dei Beni Culturali, si evidenzia come necessario l’inserimento all’interno del nuovo Codice degli Appalti di una norma transitoria in grado di evitare pesanti danni al patrimonio archeologico del Paese, nonchè consistenti incrementi di tempi e costi nel processo di realizzazione delle opere pubbliche. In vista dell'abrogazione dell'attuale Codice degli Appalti (Dlgs. 163/2006) e del relativo regolamento (D.P.R. 207/2010) sarà altrettanto necessario prevedere il mantenimento degli articoli di cui al capo II del D.P.R. 207/2010 (progettazione, direzione tecnica e collaudo dei lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale) ed in particolare gli artt. 245 e 248 (progettazione, direzione tecnica e collaudo dello scavo archeologico). I testi di tali articoli potrebbero essere accolti nelle Linee Guida sull'archeologia preventiva (previste all'art. 96, co. 6 del Dlgs. 163/2006 e nuovamente sollecitate dall'art. 26, co. 4 del Decreto Legge 12/09/2014 n° 133 - c.d. Sblocca Italia), di cui si richiede l'immediata emanazione.
2. Preso atto del percorso di avanzamento del D. M. 23 gennaio 2016 n. 44, avviare una riflessione sulla procedura di attuazione della riforma del MiBACT, che consenta una maggiore partecipazione e condivisione da parte dell'intero mondo archeologico, e contestualmente istituire un tavolo tecnico di valutazione e discussione in merito alle prospettive generali e alle specifiche ricadute di carattere tecnico e logistico-organizzativo. Si sottolinea con forza la necessità di una discussione formalmente istituita allo scopo di valutare e monitorare risultati e criticità della sperimentazione della riforma.
3. Avviare nel più breve tempo possibile l’iter per la formulazione, l’approvazione e l’adozione di un regolamento di attuazione della Legge 110/2014 in materia di professionisti dei Beni Culturali, convocando al più presto le audizioni e acquisendo i pareri previsti dall'art. 2, co. 2 della stessa legge.
4. Condividere con l’intero mondo archeologico contenuti e finalità degli annunciati Istituto Centrale per l’Archeologia e Scuola Nazionale del Patrimonio.
5. Rivedere drasticamente le attuali farraginose procedure relative alle concessioni di scavo, all'accesso ai dati e alla libera circolazione, in attuazione degli artt. 9 e 33 della Costituzione della Repubblica.

ANA - Associazione Nazionale Archeologi
ANCPL Legacoop
API-MIBACT
Archeoimprese - Associazione delle imprese archeologiche italiane
CIA - Confederazione Italiana Archeologi
CNA
CNR
Consulta Universitaria delle Archeologie Postclassiche
Consulta Universitaria di Topografia antica
Consulta Universitaria di Preistoria e Protostoria
Consulta Universitaria del Mondo Classico
CNAP - Confederazione Nazionale Archeologi Professionisti
FAP- Federazione Archeologi Professionisti
SAMI- Società Archeologi Medievisti Italiani

Archeologi Soci della Accademia Nazionale dei Lincei
2016-02-12
Accademia Nazionale dei Lincei
Gli archeologi Soci della Accademia Nazionale dei Lincei qui sotto indicati esprimono la più profonda preoccupazione a fronte dei provvedimenti di riforma recentemente disposti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, e in particolare riguardanti il settore archeologico; provvedimenti assunti in contrasto con principi e una prassi sinora efficacemente rispondenti al dettato costituzionale, e in assenza di una meditata valutazione delle conseguenze per un organismo già fortemente depotenziato dal depauperamento del corpo dei dirigenti e dal sovrapporsi, nel recente passato, di troppi interventi normativi;

- rilevano come elementi di particolare criticità la scissione di competenze tra Musei e Soprintendenze territoriali, sottoposte per lo più, con la legge Madia, all’autorità dei prefetti; l’adozione della figura del Soprintendente unico, con la conseguente mortificazione delle competenze tecnico-scientifiche del personale dirigente; nonché la nuova, incomprensibile ripartizione delle competenze territoriali, specie in aree di particolare rilievo quali il Lazio e la Campania; infine la frammentazione e il sovrapporsi di competenze tra i vari organismi di nuova istituzione o anche solo preannunciati (Istituto Centrale per l’Archeologia), mentre non sono ancora sciolti i dubbi sulla inclusione nel codice degli appalti pubblici di norme efficaci sulla archeologia preventiva, cardine della moderna ricerca,

- chiedono una sospensione del recente provvedimento di riforma e una rinnovata riflessione sull’intera materia e sulle opportune misure di rilancio e potenziamento delle strutture preposte alla tutela;

- auspicano che queste vengano assunte a seguito di una più ampia e serena consultazione, anche degli operatori del settore e dei loro organismi rappresentativi.


Anna Maria Bietti Sestieri
Giovannangelo Camporeale
Filippo Coarelli
Giovanni Colonna
Carlo Gasparri
Antonio Giuliano
Adriano La Regina
Eugenio La Rocca
Elisa Lissi
Paolo Matthiae
Paola Pelagatti
Vincenzo Saladino
Salvatore Settis
Paolo Sommella
Mario Torelli
Fausto Zevi


Roma, 12.2.2016
 
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