| Mibact, bando per l'impiego di giovani; ma solo volontari
Samuele Sassu Beni culturali e lavoro, ennesimo atto. Se fosse il titolo di uno spettacolo teatrale, scoraggerebbe anche il più appassionato degli spettatori. Ed è così che si sente chi aspira a lavorare in un museo. Ancora una volta, il Mibact emana bandi per volontari, da pagare pochi euro e impiegare per un anno, mentre dall’altro lato della barricata, un gran numero di giovani in cerca di lavoro, si indigna e fa esplodere la propria rabbia. Ma andiamo con ordine. Nei primissimi giorni dell’anno vengono lanciati due nuovi bandi, frutto di un accordo risalente al 2014 tra Mibact, Presidenza del Consiglio e Ministero del Lavoro, sull’occupazione di duemila giovani fino a 28 anni di età: il primo, con una richiesta di 71 volontari per i Beni Culturali, 17 per l’Ambiente e 22 per l’Interno; l’altro, per 1050 volontari del Servizio Civile, di cui mille sempre destinati al Mibact. Bandi che rientrano nel programma Garanzia Giovani, il quale prevede l’uso di fondi europei destinati all’occupazione giovanile. Retribuzioni “da volontari”, per l’appunto: 433,80 euro al mese, per un totale di 5.200 euro l’anno. Tante le reazioni degli operatori del settore, ma non solo. Dalle pagine del Manifesto emerge forse quella più aspra: “I fondi europei che dovevano essere usati per affrontare la disoccupazione giovanile – scrive Roberto Ciccarelli – sono usati in Italia per reclutare forza lavoro per colmare i buchi prodotti dal blocco del turn-over e dai pensionati non sostituiti da nuove leve. In più l’uso di Garanzia Giovani, in questo e altri contesti, servirà a drogare le statistiche sull’occupazione giovanile permettendo al governo di esibire un «successo» quando l’Istat pubblicherà i prossimi dati sull’occupazione”. Il tutto in cambio di qualche elemento in più con il quale questi giovani, alla fine dell’esperienza, potranno “arricchire” il proprio curriculum. Tuttavia, il rovente inizio d’anno dei beni culturali in tema di lavoro non si esaurisce certo qui. A distanza di pochi giorni, è la Reggia di Venaria, nel torinese, a finire sotto i riflettori: nonostante lo sciopero proclamato per il 6 gennaio dai dipendenti delle cooperative che gestiscono i servizi esterni del museo, la Reggia ha regolarmente aperto le porte ai turisti per l’Epifania, grazie all’impiego di lavoratori a contratto giornalieri e a una decina di dipendenti precettati per turno. L’iniziativa ha suscitato lo sdegno del sindacato Usb, il quale si sarebbe rivolto ai carabinieri per denunciare la Coopculture, che gestisce i servizi della Reggia e ha l’appalto dei 95 lavoratori, di comportamento antisindacale. La risposta della cooperativa si rifà al nuovo capitolato d’appalto che, nei giorni di grande affluenza, prevede la chiamata di personale esterno. “Non si è trattato di personale in sostituzione – fanno sapere – ma di un potenziamento già previsto e concordato con il Consorzio per i fine settimana e i ponti di maggior richiamo turistico”. Concetti immediatamente contestati da Valeria Attolico, delegata Usb, e Sabatino Basile, della Fisascat-Cisl Piemonte, che al contrario sostengono lo sciopero dei lavoratori, scaturito in seguito al taglio della retribuzione da 1.031 euro, più buoni pasto, a 818 euro, senza buoni pasto, nonché alla riduzione dell’orario di lavoro del 20%. Può essere serenamente etichettato come paradosso, il “caso Venaria”, con un polo museale che ha raggiunto il milione di visitatori nel 2016 e, tuttavia, come denunciato dai sindacati, retribuisce i lavoratori con “paghe da fame”. L’ennesima prova della contraddizione tutta italiana che vede contrapposti beni culturali e lavoro.
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